Analisi e discussione: cambiare i paradigmi dell’educazione

Analisi e discussione: cambiare i paradigmi dell’educazione

di VALENTINA AQUILINI -
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Sir Ken Robinson ci spiega come molti paesi nel mondo stanno riformando il sistema educativo per due motivi, o meglio sulla base di due quesiti: in primo luogo ci si chiede come si possano educare gli studenti a trovare il proprio posto nell’economia del ventunesimo secolo, non sapendo noi per primi come sarà effettivamente l’economia tra due settimane; in secondo luogo, ci si chiede come si possano educare i nostri studenti affinché abbiano un senso di identità che li porti a trasmettere il proprio patrimonio culturale e mantenere viva la comunità di cui fanno parte, mentre, allo stesso tempo, sono e siamo parte di un processo di globalizzazione.

Nel video si afferma poi, che lo sbaglio principale è quello di cercare di rispondere a questi due quesiti credendo che gli studenti di oggi ancora frequentino la scuola poiché solo attraverso di essa e l’impegno, riusciranno a frequentare l’università e trovare un buon lavoro. In realtà però i ragazzi di oggi non credono più a questo modello e non sulla base del nulla: è certo che è sempre meglio conseguire una laurea, ma ad oggi non è automatico che essa si possa garantire un buon posto di lavoro.

Pertanto si giunge alla conclusione che di fatto il nostro sistema educativo pubblico è stato pensato e sviluppato, per ed in un’epoca diversa da quella odierna, ovvero nella cultura intellettuale dell’Illuminismo e nelle circostanze economiche della Prima Rivoluzione Industriale. 

Lo sviluppo di una scuola pubblica, gratuita e obbligatoria è stato da un lato una brillante rivoluzione, ma dall’altro, essendo stata basata su un pensiero illuministico, in cui tutto è basato sul ragionamento e la logica, ha diviso la popolazione in intelligenti e quelli che pensano di non esserlo, solo perchè non hanno una mente illuminista.

Sarebbe proprio questa convinzione di “non essere intelligente”, che nel tempo ha portato molte persone ad avere, gli oggi diffusissimi, disturbi dell’attenzione (ADHD). 

Inoltre la scuola moderna è organizzata sul modello di una “linea di fabbrica”: ci sono campane che suonano, spazi divisi per sesso (i bagni), spazi specializzati in diverse materie e studenti divisi in gruppi basati sull’età. Ciò perché si pensa che l’età sia proprio l’elemento più importante che accomuna bambini e ragazzi, quando in realtà da essa non dipendono sempre le loro capacità in ambito scolastico.

Questo tipo di organizzazione difatti prevede un tipo di crescita standardizzata e conformizzata.

Robinson propone invece di cambiare il paradigma dell’educazione, di andare nella direzione opposta a quella esistente. Egli ci parla di uno studio sul “pensiero divergente”, ovvero l’abilità di vedere molteplici risposte ad una medesima domanda.

A tal proposito cita l’esistenza di un test che pone come quesito: “quanti modi diversi ci sono per usare un fermaglio per la carta?”. Una mente normale può trovare 15-20 modi diversi, invece una mente con un pensiero divergente può trovare fino a 200 modi diversi, perché pensa al fermaglio non solo nel modo in cui è pensato nell’immaginario comune. 

Questo test è stato posto a 1500 bambini della scuola materna, per uno studio a lungo termine ed è riportato in un libro che si chiama "break point & beyond”. Il sistema di valutazione di questo libro prevede che oltre un certo valore, vieni considerato un genio del pensiero divergente… Ben il 98% dei bambini sottoposti al test ha superato questo valore. Il test è stato poi riproposto agli stessi bambini cinque anni dopo, tra gli 8 e i 12 anni e poi tre anni dopo, tra i 13 e i 15 anni e la percentuale di bambini e ragazzi che superavano quel valore soglia è mano mano diminuito.

Questo studio dimostra quindi che tutti abbiamo un pensiero divergente come capacità innata e che nella maggior parte dei casi si deteriora nel tempo. 

Robinson sostiene che il principale colpevole di questo deterioramento è proprio l’educazione scolastica, che ci insegna che c’è sempre una sola risposta giusta, standardizzando il nostro pensiero e che questa non va copiata da altri, quando in realtà non si tratta di copiare, ma di collaborare per raggiungere un fine comune.

In conclusione bisogna iniziare a pensare diversamente riguardo le capacità umane, uscendo dal tradizionale modello che divide accademico da non accademico, intelligente da non intelligente, concreto da astratto ecc. Bisognerebbe inoltre riconoscere che il miglior apprendimento avviene in gruppi, attraverso la collaborazione, che è tra l’altro un elemento chiave nella crescita ed infine, ma non per importanza, sviluppare un pensiero secondo cui l’istituzione scolastica va creata e pensata sulla base del contesto sociale, politico, economico e culturale in cui effettivamente essa opera.

 

Riguardo queste affermazioni, mi trovo d’accordo sul fatto che l’istituzione scolastica tenda a standardizzare il nostro pensiero e che consideri poco l’importanza della collaborazione. Allo stesso tempo credo però che sia necessario dare una linea comune a tutti gli studenti, di ogni ordine e grado, affinchè tutti acquisiscano le stesse nozioni e abbiano, in teoria, tutti le stesse possibilità. 

E’ necessario, come afferma anche Robinson ripensare ad un tipo di scuola che sia però riferita all’effettiva popolazione odierna, per cui è sicuramente necessario rivedere i metodi di insegnamento generali, dati i molteplici disturbi e deficit, sia cognitivi che comportamentali.

Queste sono chiaramente solo opinioni molto generali e personali per le quali attualmente non sarei in grado di fornire una soluzione, essendo questo un tema veramente ampio e complesso. 

Credo solo che, mentre ci poniamo questi quesiti, ogni educatore debba sfruttare al massimo le proprie conoscenze e competenze per capire le potenzialità e capacità di ogni singolo discente che ha di fronte e fare del proprio meglio per farle fruttare.